sabato 7 luglio 2012

Giacinta di Fatima


 Lucia di Fatima ci parla di Giacinta
   
Il giorno 12 settembre 1935, i resti mortali di Giacinta furono rimossi da Vila Nova de Ourém e portati a Fatima. Aperta la bara, si accertò che il volto della veggente si manteneva incorrotto. Fu scattata una fotografia e Sua Ecc. Il vescovo di Leiria D. José Alves Carriera da Silva, ne mandò una copia a Suor Lucia, che rispose ringraziando e parlando delle virtù della cugina. Ciò indusse il vescovo a ordinarle di scrivere tutto quello che sapeva sulla vita di Giacinta. Così è nata la “prima memoria”, che era pronta a Natale del 1935.   

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A Giacinta piaceva molto ascoltare l'eco della sua voce nei fondovalle. Perciò uno dei nostri divertimenti era star seduti sulla roccia più grande in cima ai monti e pronunciare nomi ad alta voce. Il nome che echeggiava meglio era quello dì Maria. Giacinta diceva a volte così l'intera avemmaria, ripetendo la parola seguente, quando l'altra aveva finito di echeggiare.
Ci piaceva pure cantare. Sapevamo purtroppo parecchi canti profani, ma Giacinta preferiva «Salve, nobile Patrona», «Vergine pura» e «Angeli, can­tate - con me». Eravamo poi molto inclinate alla danza e bastava che gli altri pastori sonassero uno strumento qualsiasi, perché ci mettessimo a dan­zare. Giacinta, anche se molto piccola, aveva per questo una capacità sor­prendente.
Ci avevano raccomandato di dire il rosario dopo lo spuntino; ma siccome il tempo per giocare ci pareva poco, trovammo un buon sistema per cavar­cela in fretta. Si passava i grani dicendo soltanto: 'Ave, Maria; Ave, Maria; Ave, Maria!'. Arrivate alla fine del mistero, dicevamo, con una buona pau­sa, la semplice parola: 'Padre nostro!'. Così, in un batter d'occhio, come si suoi dite, il nostro rosano era bell'e detto!

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...arrivati sul luogo del pascolo, Giacinta si sedette pensierosa su una roccia.
- Giacinta, dai, giochiamo!
- Oggi non voglio giocare.
- Perché non vuoi giocare?
- Perché ho da pensare. Quella Signora ci ha detto di dire il rosario e di fare sacrifici per la conversione dei peccatori. Ora quando diciamo il ro­sario, dovremo dire l'Ave Maria e il Padre nostro interi. Ma i sacrifici, come faremo a farli?
Francesco inventò subito un buon sacrificio:
- Diamo il nostro spuntino alle pecore e facciamo il sacrificio di non mangiare!
In pochi minuti i nostri rifornimenti erano distribuiti al gregge. E così passammo la giornata a digiuno, proprio come i più austeri certosini.


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Giacinta prese tanto sul serio i sacrifici per la conversione dei peccatori, che non si lasciava sfuggire nessuna occasione. C'erano alcuni bambini, figli di una famiglia di Moita, che passavano di casa in casa a mendicare. Un giorno li incontrammo, mentre andavamo col nostro gregge. Giacinta vedendoli disse: 'Diamo il nostro spuntino a quei poveretti, per la conver­sione dei peccatori'. E corse a portarglielo. Nel pomeriggio mi disse che ave­va fame. Li intorno c'erano lecci e querce. Le ghiande erano ancora un po' verdi, ma io le dissi che erano buone da mangiare. Francesco sali su un lec­cio per riempire le tasche, ma Giacinta si ricordò che potevamo mangiare quelle delle querce, per fare il sacrificio di mangiare qualcosa di amaro. E quel pomeriggio gustammo quel delizioso piatto! Giacinta fece di questo uno dei suoi sacrifici abituali. Coglieva ghiande di quercia o ulive non an­cora fatte.
Un giorno le dissi:
- Giacinta, non mangiare questa roba! Sono troppo amare.
- Ma è proprio per quello che le mangio, per convertite i peccatori!
Non furono solo questi i nostri digiuni. Ci eravamo messi d'accordo di dare il nostro spuntino a quei poveretti tutte le volte che li avessimo incontrati; e quei poveri bambini, contenti della nostra elemosina, cercavano d'incontrarci e ci aspettavano sulla strada. Non appena li vedevamo, Giacinta portava loro correndo tutto il mangiare della nostra giornata, con tanta soddisfazione, come se non ne avesse bisogno davvero.
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Giacinta pareva insaziabile nella pratica del sacrificio. Un giorno un vi­cino offerse a mia madre un terreno per far pascolare il nostro gregge.
La sete si faceva sentire e non c'era una goccia d'acqua da bere. All'inizio offrimmo generosa­mente il sacrificio per la conversione dei peccatori, ma passata l'ora di mez­zogiorno non si resisteva. Proposi allora ai miei compagni di andare in qual­che posto vicino a chiedere un po' d'acqua. Accettarono la proposta ed ecco che andai a battere alla porta d'una vecchietta che insieme a una caraffa d'acqua mi diede anche un po' di pane, che accettai con riconoscenza e corsi a dividerne con i miei compagni. Poi passai la caraffa a Francesco e gli dissi di bere.
- Non bevo - rispose.
- Perché?
- Voglio soffrire per la conversione dei peccatori.
- Bevi tu, Giacinta!
- Anch'io voglio offrire questo sacrificio per la conversione dei peccatori.
Allora versai l'acqua nel cavo di una pietra, perché la bevessero le pecore e riportai la caraffa alla padrona.

(dal libro: Lucia racconta Fatima -"Prime memorie"

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